Dai contrasti nascono spesso le storie più belle. Apparentemente musei e videogiochi non dovrebbero co-esistere nel titolo di un articolo. Cosa possono avere in comuni luoghi sacrali come musei che conservano le tracce più alte dell’evoluzione dell’uomo e della natura nel corso dei millenni con “diavolerie” digitali della modernità come i videogiochi?
Questa domanda andrebbe sempre contestualizzata nell’epoca in cui essa viene posta. I luoghi della cultura hanno subito costantemente delle trasformazioni della propria missione e visione in relazione al contesto sociale nel quale si trovavano ad operare.
Fino al 1931 ai bambini era sostanzialmente vietato, o scoraggiato, l’ingresso nei musei di tutto il mondo. Quell’anno segnò uno spartiacque importante con l’inaugurazione della Children’s Gallery, un’area educativa interamente progettata per i giovanissimi all’interno del Museo della Scienza di Londra. Una fuga progettuale in avanti verso installazioni che oggi definiremmo “interattive” ed un metodo di apprendimento “imparare facendo” oggi pratica quotidiana in tanti Musei della Scienza, e non solo. Quell’operazione avviata da sir Henry Lyons suscitò profonde critiche dai professionisti della cultura che vedevano in quell’apertura un tradimento della missione istitutiva dei musei come luoghi “di specialisti per specialisti”. Oggi quanti alzerebbero il dito contro l’importanza della didattica museale?
Se nel corso dell’ultimo secolo è innegabile il progressivo mitigarsi dell’ostilità verso il concetto di intrattenimento, questa co-esistenza sembra essersi radicata nell’accezione di edu-tainment. Progetti ed esperienze educative”tradizionali” incorniciate all’interno di un livello di divertimento; come ci suggerisce lo stesso vocabolo inglese la primogenitura è indissolubilmente legata al vocabolo “educational” con il termine “entertainment” a seguire.
Sin dagli anni ’80 alcuni pioneristici musei, soprattutto in ambito anglo-sassone (un mondo in cui l’engagement è parte integrante della missione delle istituzioni), hanno introdotto mini-giochi, puzzle, quiz ed altre amenità su schermi e display presenti all’interno dello spazio culturale. Quasi sempre pensati per un pubblico in età scolare, queste progettualità sono state viste come un modo per avvicinare il messaggio culturale alle fasce più giovani e meno specializzate della popolazione. Una pratica che ha trovato consenso non solo nelle grandi istituzioni americane ma anche in piccole realtà civiche italiane. Oggi uno dei mantra dei nuovi allestimenti sembra essere quello di suscitare un effetto WOW introducendo realtà virtuale, aumentata, video mapping. Ma quale è stata la risultanza profonda di questo binomio primordiale gaming e musei?
Queste produzioni sono rimaste sempre subalterne rispetto all’evoluzione che il media video-gioco stava conoscendo a partire dagli inizi degli anni ’80. Un progressivo allargamento del bacino di fruizione dei titoli “commerciali”, oltre due miliardi di videogiocatori oggi nel mondo, ed una costante evoluzione tecnologica, narrativa, estetica e di meccaniche stavano alzando notevolmente l’asticella qualitativa. A fronte di questa rapidissima evoluzione che in pochi anni ha reso l’industria dei videogiochi la principale per budget e tempo speso da diversi cluster di popolazione, gli edu-games museali sono rimasti al palo rendendo l’esperienza di gioco culturale lontana anni luce dalla capacità di coinvolgere e generare nuove mitologie dei cugini “commerciali”.
Come posso sperare di raggiungere un impatto sul mio pubblico offrendo loro una esperienza, anche se con bellissimi obiettivi educativi, lontanissima da quanto quotidianamente sperimentato sui loro smartphone o computer o console? Sarà un caso se i maggiori impatti culturali e turistici siano arrivati da prodotti come Assassin’s Creed o Minecraft o Monument Valley?
Quando nel 2016 mi ritrovai a risaldare i puntini della mia vita fondando l’ass. TuoMuseo la domanda centrale che mi posi fu “come possono dialogare alla pari il media museo (per me è esso stesso un media) ed il media videogioco?
Le premesse che ci portarono a vincere il bando Innovazione Culturale di Fondazione Cariplo furono essenzialmente due:
- I videogiochi sono essi stessi una espressione artistica e culturale della contemporaneità ed in un prossimo futuro potranno essere commissionati da un Comune così come oggi si fa con una installazione che impreziosisce una pizza e da un Museo così come già accade con l’acquisto di un’opera d’arte. In fondo su una tela digitale coesistono espressioni artistiche consolidate. In un videogioco troviamo pittura, poesia, scultura, architettura, musica.
Ad ogni modo questo aspetto è ancora oggi fortemente osteggiato e non mi dilungherò in attesa di momenti migliori.
- Il videogioco come potente strumento per portare il “museo fuori dal museo”. Attraverso il suo linguaggio contemporaneo e l’ubiquità della sua diffusione internazionale rende possibile il trasferimento di messaggi anche culturali. La condizione è sovvertire l’ordine edu-tainment per sposare una logica entert-edu e sfatare l’idea del gioco strumento per raggiungere esclusivamente un target scolastico.
Come collettivo internazionale TuoMuseo, siamo fortemente convinti che è necessario porre al centro un modo di progettare CON e PER i pubblici, avvicinarli e coinvolgerli per poi più facilmente trasferire un messaggio e favorirne la rielaborazione e processi di appropriazione attivi.
A partire da questi due assiomi, si è mossa la nostra attività di progettazione e realizzazione di opere interattive. A partire da Father and Son per il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, si è concordato con il direttore Paolo Giulierini ed il prof. Ludovico Solima, di ribaltare le liturgie fino ad allora consolidate.
Un processo, prima ancora che un prodotto, in grado di avvicinare a Napoli ed al Mann pubblici provenienti da tutto il mondo. Una possibilità di fruizione comodamente da casa, senza l’obbligo di essere fisicamente nel museo, per attuare politiche di audience development. Un termine che leggiamo sovente ed entrato in tanti bandi che spesso finisce per essere depauperato del suo reale significato, raggiungere con il nostro messaggio le persone dovunque si trovano e quando vogliono.
Il digitale in questo è straordinario, può de materializzare senza snaturare i nostri luoghi culturali consentendo ai giocatori di essere protagonisti attivi attraverso le loro azioni e decisioni. Mi piace pensare ai videogiochi come forme di mitologia contemporanea, essi offrono spazi di ritrasmissioni ed alterazioni all’interno di una istanza sociale. Le oltre 4 milioni di persone che hanno scaricato Father and Son dall’Arabia all’America passando per la Russia ci indicano il valore aggregante che alcune storie possono avere al di là della particolarità delle collezioni o sale presenti all’Archeologico.
Il videogioco diventa quindi piattaforma di accessibilità ed, al contempo, strumento di azioni sociali. Tra le 10 lingue in cui il gioco è disponibile vi è una speciale, il “napoletano”. Oltre a segnare una ennesima prima volta, il primo videogioco distribuito da un museo archeologico al mondo anche il primo in un dialetto, esso riflette l’apporto di studenti provenienti da quartieri complessi coinvolti nel processo di localizzazione del gioco insieme al linguista De Falco.
Da sottolineare il riscontro del dato anagrafico dei giocatori in relazione al secondo pilastro testè citato. L’età media di chi ha vissuto le storie di Michael tra il presente a Napoli e salti temporali nell’Antico Egitto, Pompei Romana e Napoli borbonica, è di circa 33 anni.
Con obiettivi diversificati da istituzione ad istituzione, TuoMuseo ha continuato questo filone con produzioni come A Life in Music per il Teatro Regio di Parma, Past for Future per il Marta di Taranto, Firenze Game per il Comune di Firenze, Beyond Our Lives per Toscana Promozione Turistica, Distorie con Faro per il Comune di Rosarno, The Medici Game con Sillabe per Palazzo Pitti e tanto altro.
E’ un rapporto complesso quello tra industria creativa e cluster culturale, una collaborazione non sempre facile e che si gioca sul filo di lana del rapporto tra libertà creativa e contenuto culturale.
Quello che sembrava un filone impossibile ed impensabile è diventata una storia ancora tutta da scrivere nei prossimi anni.