Museo del Futuro – Intervista al Mart di Rovereto

Se tre indizi fanno una prova, sei indizi sono sufficienti per confermare che ci troviamo di fronte all’istituzione più digitaladdicted del nostro panorama? Parliamo di un wikipediano in residenza, il rilascio di compilation collaborative e implementabili su Spotify, i BOT per offrire una nuova esperienza di visita basata sulla messaggistica in chat, il canale IGTV, la collaborazione con Google Arts&Culture, e la tecnologia Beacon per attivare giochi con i bambini in visita. No, non ci troviamo alla Virgin records, né tantomeno a Disnelyland, o all’Isola che non c’è: siamo a Rovereto, sede del MART. Abbiamo posto una serie di domande ad Annalisa Casagranda, Valentina Russo e Susanna Sara Mandice dell’istituzione trentina.

Partendo dalla missione definita dal Direttore«La nostra sfida è diventare una piattaforma per l’arte moderna e contemporanea in un territorio più ampio rispetto al perimetro del museo e questo territorio include anche quei luoghi virtuali in cui il dibattito e lo studio si generano, in cui la cultura stessa si riverbera e si espande» siete stati il primo museo ad ospitare un wikipediano in residenza: potrebbe spiegarci il progetto e i risultati di questa “residenza”?

La residenza al Mart di un wikipediano era stata sperimentata da alcuni musei internazionali ma è stata la prima di questo genere in Italia. Il progetto si è svolto in un periodo di sei mesi, da maggio a ottobre 2014, e la selezione della risorsa assegnata è stata effettuata da Wikimedia Italia, la corrispondente italiana ufficiale di Wikimedia Foundation, Inc. La cornice è il progetto GLAM, dedicato all’implementazione dei contenuti di Wikipedia su argomenti culturali.
Al Mart il wikipediano Daniele Metilli ha lavorato fianco a fianco con i curatori, gli archivisti, i bibliotecari e i comunicatori per rendere liberamente accessibile al pubblico un patrimonio di dati e di materiali iconografici sulle avanguardie futuriste, le ricerche verbovisuali, la poesia sonora e gli archivi di architettura.

Alla fine del progetto sono state scritte o revisionate su Wikipedia le biografie di più di 60 artisti trai più rappresentativi delle collezioni del Mart e delle mostre 2014, includendo tutti i soggetti produttori del nostro Archivio del ’900 (di cui pure è stata ampliata la voce, insieme a quelle relative alle tre sedi museali). Su Wikidata, il database di supporto agli altri progetti Wikimedia, sono state inserite tutte le informazioni biografiche che era possibile esprimere in forma strutturata su 200 artisti e 850 opere presenti nelle collezioni, nonché informazioni sulle mostre al Mart del 2014. Parallelamente sono state caricate su WikimediaCommons più di 1000 immagini, in massima parte di opere di pubblico dominio ma anche fotografie provenienti dagli archivi e immagini di artisti contemporanei. Infine, in relazione con la mostra del Mart La guerra che verrà non è la prima, è stato avviato il progetto Libri di guerra per digitalizzare e rendere fruibili su Wikisource una serie di testi scritti o pubblicati nel periodo della prima guerra mondiale.

Il Museo come editore di contenuti: ci parla delle compilation collaborative con Spotify?

Il museo ha esordito su Spotify nel 2012con una serie di compilation in relazione a esposizioni che, per il loro carattere tematico o multidisciplinare, si prestavano particolarmente ad essere accompagnate da suggestioni sonore. Mi riferisco, per esempio, a mostre come Alice in Wonderland, Progetto cibo,Andata e ricordo, sul tema del viaggio e del souvenir, e Perduti nel paesaggio. Quest’ultimi due temisi legano perfettamente all’ascolto di compilation musicali che spesso ci accompagnano nei nostri viaggi.

Le compilation sono collaborative fin dalla loro prima creazione: sono nate, infatti, dai suggerimenti raccolti tra i vari membri del nostro web team, di cui fa parte anche un musicista. Abbiamo poi invitato gli utenti di Spotify a implementarle.

Negli ultimi tre anni la nostra presenza su questo canale si è diradata. Le ultime compilation sono dell’anno scorso: una per la mostra Viaggio in Italia e l’altra per la personale di Jacopo Mazzonelli, artista e musicista che ha suggerito lui stesso alcune tracce.

Ci farebbe una panoramica sulle politiche di coinvolgimento dei pubblici del MART? Telegram, Msn, IGTV e il piano social

Al Mart abbiamo una responsabile del piano social e web che coordina unweb team formato da persone che lavorano in diversi ambiti del museo (collezioni, didattica, archivi, ufficio stampa) e che contribuiscono alle pubblicazioni sui social media con contenuti specifici di loro competenza. Questo ci ha permesso di condividere con il pubblicocontenuti che riguardano un più ampio ventaglio di aspetti della vita del museo, non solo le mostre e la comunicazione istituzionale.In questo modo è più facile rivolgersi a persone con interessi diversi: dagli appassionati d’arte alle famiglie con bambini, dagli studiosi agli insegnanti.Il nostro Archivio del ‘900 ha una pagina Facebook che si rivolge a un pubblico di settore, con post che condividiamo anche sulla nostra pagina principale.

La nostra ricerca di innovazione si esprime nella sperimentazione di nuovi strumenti per comunicare con i molti pubblici del museo. Nel 2016 siamo stati il primo museo italiano a realizzare un BOT per proporre agli utenti un nuovo tipo di visita basata su app di messaggistica. Abbiamo esordito con la chatbot su Telegram, all’epoca l’unica app che supportava quella tecnologia, e l’anno seguente abbiamo utilizzato ancheMessanger, progettando il risponditore automatico per la parte più di carattere informativo e l’interazione con gli utenti della nostra pagina Facebook. MartMuseumBot è il risultato di una sfida per noi appassionante: riuscire a comunicare contenuti complessi con il linguaggio semplice e sintetico di una chat.A settembre presenteremo un nuovo progetto che va in questa direzione, ma non possiamo ancora anticipare nulla.

Tra pochi giorni, invece, inaugureremo il nostro canale IGTV con un primo progetto che ha coinvolto alcuni mediatori della nostra Area educazione e mediazione culturale. Si tratta di brevi video dove chi lavora a stretto contatto con il pubblico racconta un’opera delle nostre Collezioni.

Alla luce di queste interazioni e del coinvolgimento di diversi pubblici presso diversi canali, qual è il ruolo del Mart nella società?

Il Mart è per statuto un ente pubblico istituito allo scopo di custodire, conservare, valorizzare e promuovere lo studio e la conoscenza dell’arte moderna e contemporanea. La presenza sul web e sui canali social costituisce parte integrante di questa missione. Attraverso i progetti digitali e l’attività sui social il Mart svolge un ruolo attivo nella condivisione della conoscenza, promuovendo il patrimonio culturale materiale e immateriale.

La specificità di questi canali permette inoltre di perseguire obiettivi mirati come la creazione di una community interessata non solo a conoscere ma anche condividere i contenuti museali: questo tipo di coinvolgimento fa sì che il museo sia una realtà partecipata e vissuta da un pubblico sempre più interessato a una narrazione personale dell’esperienza culturale. In questo senso il museo svolge un ruolo attivo nella creazione di un’identità comune basata sul patrimonio che preserva ma anche sulla propria storia e sulle proprie attività.

Qual è il rapporto del Mart con la digital art: possiamo considerare la collaborazione con Google Arts&Culture un prodotto di digital art?

Se per digital art intendiamo una pratica artistica che utilizza elementi di tecnologia digitale nel suo processo di creazione e di fruizione, il museo si pone allora come un interlocutore di queste specifiche forme di espressione contemporanee. Per menzionare un esempio recente, la mostra del duo svedese NathalieDjurberg& Hans Berg, tenutasi al Mart tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, si concludeva con un’esperienza di realtà virtuale per esplorare interattivamente una delle opere presenti nel percorso di visita.

Diversol’esempio della piattaforma Google Arts& Culture, dedicata all’esplorazione del patrimonio culturale digitalizzato. Il Mart ha aderito a questo progetto con entusiasmo per favorire l’accessibilità dei propri contenuti. Qui sono state pubblicate circa 200 immagini dei capolavori delle collezioni e 50 opere fotografate dallo staff di Google con la tecnologia Art Camera, che permette l’osservazione dell’immagine fino a un eccezionale grado di dettaglio. La piattaforma, inoltre, è strutturata per poter creare e condividere narrazioni a partire dai materiali pubblicati. Il Mart ha colto questa opportunità per realizzare due esperienze di storytelling: una dedicata all’esposizione permanente dei propri capolavori, l’altra alla figura di Giacomo Balla, di cui il museo conserva importanti opere e documenti. Questo tipo di progettualità entra in risonanza con le attività di curatela in ambito digitale.

Come si muove il MART per l’engagement dei suoi visitatori grandi e piccini?

Nel 2016 abbiamo deciso di produrre una guida digitale anche per la seconda sede del Mart, il museo fondato dall’artista futurista Fortunato Depero. Invece di una normale audioguida, come quelle che abbiamo per le Collezioni, abbiamo preferito realizzare una videoguida su tablet: uno strumento che offre al fruitore una maggior interattività. Questa scelta nasce anche dal desiderio di valorizzare il ricco repertorio di immagini e documenti rappresentato dal Fondo Depero, conservato nel nostro Archivio del ‘900. Il percorso per il pubblico adulto attinge proprio da questo patrimonio per cucire un racconto che alterna voce narrante, musica, fotografie e video. Per il percorso dedicato ai bambini, invece, abbiamo ideato dei giochi in relazione ad alcune opere che si trovano nelle sale del museo e un sistema di orientamento basato sui Beacon, che attivano dei pop up con un personaggio ispirato all’omino Campari disegnato da Depero.  Anche le Collezioni possono essere visitate con l’ausilio di un’audioguida per bambini dai 6 ai 12 anni, caratterizzata da una voce narrante che interpreta il ruolo di un anziano personaggio ritratto in un dipinto di Gino Severini, esposto nella prima sala de “l’invenzione del moderno”.

Al termine della nostra chiacchierata esplorativa restiamo felicemente stupiti: se quasi il 50% dei musei d’Italia non ha nemmeno un sito web, fortunatamente c’è qualcuno che è già sbarcato su Spotify e padroneggia i BOT per dialogare con propri pubblici, suggerendo visioni e best practices davvero illuminanti.

A cura di Davide Boselli