L’epoca del turismo CreAttivo – tra instagrammability e gamification

E’ indubbio che la nostra società abbia subito repentini e velocissimi cambiamenti negli ultimi vent’anni, largamente coincidenti con l’ingresso nella quotidianità di internet quale emblema della rivoluzione post-industriale. Il nostro modo di relazionarci con gli altri, il nostro modo di accedere ai contenuti, il nostro rapporto con lo spazio in cui viviamo e finanche il nostro modo di pensare, sognare e scrivere  è figlio di quello che Scott McNealy ha definitivo “The Participation Age” in un articolo apparso sulle colonne del Financial Times nel 2005. L’allora CEO di Sun Mycrosystems, azienda IT con sedi in oltre 100 nazioni, anticipava di qualche anno l’attuale architettura dell’esperienze di consumo quotidiano.

Le 2P, partecipazione e personalizzazione, rappresentano due delle istanze che segneranno il XXI secolo anche, e soprattutto, nel comparto culturale e turistico.

Dimentichiamoci la figura del turista spettatore che, in questa nuova cornice di protagonismo, andrebbe semmai chiamato spettAttore attribuendogli un ruolo di agente attivo, stanziale o in transito, in musei, teatri, piazze centrali e quartieri periferici. Alla stregua di quanto già sperimentato nel medium video ludico, il principale per tempo speso e gradiente emotivo tra le ultime due generazioni, i nuovi pubblici chiedono di prender parte attivamente alle scelte, influenzare le esposizioni, lasciare tracce tangibili ed intangibili nei luoghi che decidono di visitare.

Un cambio copernicano di prospettiva, un nuovo modo di progettare esperienze non solo CON e PER i pubblici ma soprattutto lasciando che siano quest’ultimi a stratificare l’esperienza con risultati non previsti da coloro i quali hanno attivato e facilitato inizialmente. In questa accezione potremmo parlare di spettAUtore.

Questa idea di Turismo Creativo non è così nuova, si pensi a quanto già accaduto durante l’epoca dei Grand Tour (XVII e XVIII secolo) quando decine di migliaia di rampolli del nord Europa giunsero in Italia concorrendo a creare nuovi immaginari turistici e culturali attraverso le espressioni creative dell’epoca. Libri, dipinti, litografie, al pari delle attuali fotografie su Instagram, video da caricare su Youtube o post su Facebook, rappresentavano parte integrante dell’esperienza di visita contribuendo alla saldatura tra comparto turistico/culturale e “industrie creative”.

Un afflato di partecipazione che contribuì alla popolarità, in alcuni casi tutt’oggi persistente, di località anche medio-piccole in cui  i residenti permanenti (gli abitanti di quei luoghi) concorsero insieme ai residenti temporanei (turisti) a raccontare quel territorio.

Località come Olevano Romano divennero famose grazie a migliaia di turisti CreAttivi provenienti dalla Danimarca che scoprirono questo borgo dei Monti Prenestini eleggendolo a propria casa secondaria. Ancora oggi numerosi pittori nord europei continuano a visitare la zona ed i loro quadri sono presenti nei principali musei e gallerie europee.

Oggi sono soprattutto le località “secondarie” a poter beneficiare della rivoluzione post industriale del XXI secolo. Mai come oggi sono state prodotte e distribuite così tante idee, immagini e contenuti che circolano ad una velocità pressoché istantanea grazie ai creAttivi che concorrono a creare le nuove mitologie.

Si pensi al fenomeno dei “digital nomads”, milioni di persone in tutto il mondo che si spostano costantemente tra città e nazioni fissando temporaneamente lì la propria residenze. Startuppers, makers, game designer, esperti di user experience ed in generali professionisti del cluster creativo che viaggiano e continuano a generare idee ed economie nei luoghi in cui transitano spesso in partnership con persone del luogo. Località come Da Nang (Vietnam), Tenerife (Spagna), Bansko (Bulgaria), Split (Croazia) sono diventati hub attrattivi in cui si immagina e disegna il futuro. Ma quali caratteristiche devono avere questi nuovi spazi di contaminazione?



Una comunità seleziona le proprie mete in base a nuovi parametri sintetizzati in comunità di riferimento come nomadlist.com. Sfogliando la classifica degli hub ci accorgiamo che l’Italia non sta intercettando questo fenomeno, in crescita anno dopo anno per via della de-materializzazione delle produzioni,  con le prime città posizionate oltre il duecentesimo posto (Avellino al 210° alla data in cui scrivo). Dando una occhiata ai parametri che muovono le nuove generazioni troviamo: qualità della rete internet, clima, qualità dell’aria e della vita, vicinanza ai temi LGBT, disponibilità di coworking, pedonabilità degli spazi, la presenza di un ecosistema di start up, lingua inglese.

Sono categorie quasi mai prese in considerazione dai nostri amministratori e policy makers, ma ad una analisi attenta si tratta di istanze ben radicate nelle nuove generazioni e che rappresenteranno la vera sfida dei nostri territori che ad oggi continuano a ragionare per categorie tipicamente della società industriale.

Questa apertura verso forme di creazione e racconto partecipato, se non collettivo, trovano eco in una dinamica del XXI secolo. Diversi report indicano che una larga fetta di under 35 seleziona la metà turistica anche in base alla sua “instagrammability”, ovvero la possibilità di scattare foto memorabili attraverso una forma di personalizzazione data da angolature, filtri, frasi e hashtag di accompagnamento.

Anche qui l’Italia, pur dotata di una “infrastruttura hardware straordinaria che rende ognuno dei 6000 comuni diverso ed unico dall’altro,  non ha saputo intercettare questi mutamenti antropologici in atto nei turisti del XXI secolo. Andando a scorrere le classifiche  dei luoghi più “instagrammati” al mondo, ancora una volta l’Italia non ha saputo attuare una politica in grado di guardare ai pubblici del domani e posizionarsi come invece seppe fare al termine della seconda guerra mondiale dove il Belpaese creò l’immaginario di Paese Cartolina anche, e soprattutto, attraverso il cinema. Come è possibile che la nazione col maggior numero di prodotti DOP/IGP, ricca di siti Unesco, con le montagne più alte d’Europa, migliaia di km di mare, stratificazioni umane straordinarie non rientri in nessuna TOP 10: cibo, coppie, selfie, scenario o attività all’aria aperta? Non sarebbe forse un modo per favorire quella de-localizzazione e de-stagionalizzazione dei flussi turistici volta a defaticare le città in preda dell’overtourism a favore della dorsale medio-piccola del paese?



In questo scenario è fondamentale ricominciare a lavorare su nuovi immaginari che saldino digitale e fisico, quella che amo chiamare “stratigrafia digitale”, come ci hanno insegnato progetti pioneristici dal Teamlab Digital Museum di Tokyo, a soli due anni dalla nascita uno dei musei più visitati al mondo in assenza di un singolo manufatto fisico, Carrières de Lumières in Les Baux-de-Provence con circa 1 milione di spettatori paganti per entrare in una cava di marmo sperduta nella provincia francese in cui vengono allestite mostre immersive o ancora Father and Son, il videogioco ambientato a Napoli co-prodotto dal collettivo TuoMuseo ed il Museo Archeologico Nazionale di Napoli che ha fatto registrare quattro milioni di download. In queste dinamiche di interazione, un sempre maggior ruolo lo riveste il concetto di gamification.