Abbiamo intervistato Studio Azzurro per chiacchierare con loro attorno la tematica del Museo del futuro e per chi non li conoscesse (ahi, molto male!) raccontiamo di seguito, brevemente, chi è e cosa fa.
Nato agli inizi degli anni ’80, Studio Azzurro si configura come un’esperienza che nel corso degli anni esplora le possibilità poetiche ed espressive delle nuove culture tecnologiche; attraverso la realizzazione di videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, percorsi museali, performance teatrali e film, Studio Azzurro disegna un percorso artistico trasversale alle tradizionali discipline, formando un gruppo di lavoro aperto a differenti contributi e collaborazioni.
La ricerca artistica del gruppo si orienta, all’inizio, verso la realizzazione di videoambientazioni, in cui viene sperimentata l’integrazione tra immagine elettronica e ambiente fisico, perseguendo l’intento di rendere centrale lo spettatore e i percorsi percettivi in cui è inscritto. Cosa sono i videoambienti? Macchine narrative basate su uno scenario fortemente connotato, su sequenze videoregistrate di piccoli accadimenti reiterati e su una composizione di monitor, che favorisce la dissoluzione dei limiti dello schermo.
Studio Azzurro inaugura successivamente un nuovo filone di ricerca, chiamato Portatori di storie, e basato sul confronto con i valori della memoria dei luoghi e delle comunità, per favorire la nascita di un nuovo ciclo di opere in cui sperimentare una forma di interattività che vede il visitatore coinvolto, con modalità fortemente partecipative, nella scoperta del territorio locale, attraverso il racconto dei suoi abitanti.
Nel particolare momento storico che stiamo vivendo, l’epoca del marketing omnichannel e della necessità di un brand (a proposito, possiamo definire un Museo un brand?) di offrire un’esperienza completa intorno al prodotto, diventando editore di contenuti che rispondano ai bisogni del consumatore e, soprattutto, della ridefinizione di Museo, chiudere il cerchio con lo Studio che maggiormente pone al centro della propria riflessione la relazione tra le persone e si posiziona quale il pioniere di una nuova forma di museo, il museo della narrazione, ci è sembrato la scelta più opportuna.
Cosa ne è emerso?
Come immagina Studio Azzurro il Museo del Futuro?
Il “Museo del Futuro” è un paradosso!
Battute a parte, pensiamo che il modello museale dei tempi prossimi dovrà essere anzitutto un “luogo” per l’uomo e non per l’esibizione tecnologica, né per la celebrazione del virtuale. Un luogo sempre più “abitabile” dai visitatori, sempre più vicino all’idea etimologica del Museion, il luogo delle Muse, dell’accoglienza, di esercizio e pratica delle arti le quali, per natura, sono profondamente legate alla memoria.
Per noi sarà un museo per raccontare storie e magari – sarebbe bello – per raccoglierne di nuove da chi lo visita.
Un museo nel futuro dovrà suscitare curiosità e far sorgere domande in chi lo visiterà, più che proporre una storia rigidamente fissata.
Inoltre, il museo potrebbe integrarsi sempre più con l’idea e la funzione della piazza, luogo di incontro, di relazioni, di scambio, oltre che luogo dove si conserva, si scopre e si esplora una forma di conoscenza attraverso un’esperienza condivisa. Perché la relazione tra persone è ancora alla base della più efficace forma di trasmissione della conoscenza: passa attraverso gli sguardi, i gesti e la memoria del corpo. Un museo dovrebbe diventare il ganglio pulsante di una rete di relazioni e trasmissioni di esperienza.
Il tema del museo intermediale è sofisticato e molto delicato, proprio perché è legato a doppio filo con il tema della memoria. E la memoria, con il Novecento, è stata collocata al centro di molte questioni. Non solo a causa degli eventi storici, ma anche in virtù dello sviluppo tecnologico che ha modificato profondamente il nostro rapporto con la memoria in generale e con la nostra personale memoria in particolare. Questo cambiamento – tuttora in corso – è stato in parte innescato dagli strumenti di registrazione e archiviazione audio e video, e successivamente dalla “leggerezza” dei dispositivi e dei documenti raggiunta con il digitale.
Il museo dovrà tenere conto di questo mutamento antropologico proprio utilizzando gli strumenti che, in parte, lo hanno provocato.
Inoltre, il linguaggio multimediale presto pervaderà ulteriormente le attività umane e lo stesso vale per quelle forme di interattività tecnologica ormai consolidate e standardizzate. Per questo anche il passaggio alla definizione di “intermediale” – cara a Pietro Montani – può essere importante per tenere alta l’attenzione. I medium, infatti, non devono essere pensati come giustapposti o semplicemente compresenti, ma come un unico linguaggio che integra medium materiali, visivi e sonori, sollecitazioni spaziali e tattili con sfondamenti dello spazio attraverso l’immaterialità delle immagini.
Pionieri dell’Audience Engagement e dello storytelling artistico: quali sono le nuove frontiere, secondo Studio Azzurro, per avvicinare sempre più pubblici al Museo?
L’idea di museo purtroppo porta ancora con sé un’aura di stantio e pesantezza, che abbiamo sempre cercato di “spolverare” con strutture narrative che facciano sentire il pubblico coinvolto da una storia che si dispiega nello spazio e che si sofferma su punti, elementi e oggetti sensibili. Per noi la narrazione è tuttora il cuore di ogni progetto. Quindi la domanda chiave è sempre: qual è la storia che questo museo vuole raccontare? La domanda successiva è: si possono ancora incontrare testimoni di questa storia che possano donarla, consegnandola alle generazioni future, come è capitato in molti casi?
Oltre a questo, il progetto di un museo oggi deve tenere in grande considerazione aspetti e modalità di coinvolgimento del pubblico che vanno ben oltre l’apertura della struttura e che permettano a chi la gestisce di mantenere un dialogo aperto con le iniziative culturali e le emergenze del territorio in cui è radicato (ed è necessario che lo sia per sopravvivere)… se non addirittura provocarle o renderle semplicemente possibili.
Raccontereste una storia di successo di Studio Azzurro: dalla genesi del progetto agli impatti generati e ai risultati raggiunti.
Quello che consideriamo il nostro primo museo di narrazione è il Museo audiovisivo della Resistenza (Fosdinovo, Lucca 2000), ha una bellissima storia perché è nato dalla richiesta di una comunità che voleva mantenere viva l’esperienza vissuta sul territorio da uomini e donne di grande coraggio e che dichiarò di non volere un museo di mostrine, armi e divise, ma di volere tramandare una storia vissuta. Questa richiesta aprì a una nuova concezione di museo, il museo di narrazione appunto, il cui cuore sono i racconti di persone che incontriamo per raccoglierne e tramandarne la testimonianza.
D’altra parte, il museo che più identifica la ricerca di Studio Azzurro è invece il Museo Laboratorio della Mente di Roma, che ha sede al Santa Maria della Pietà, l’ex Ospedale Psichiatrico della città e che ha vinto il Premio ICOM Italia 2010 per l’innovazione e l’attrattività nei rapporti con il pubblico.
Il disagio mentale viene incontrato attraverso un percorso esperienziale che passa dalla sperimentazione di gesti, dall’assunzione di posture identificativi della malattia, ma profondamente umani.
Nato dalla volontà del suo direttore Pompeo Martelli e da un intenso lavoro di collaborazione nella stesura del progetto, è l’esempio che più si avvicina all’idea di un luogo da abitare e frequentare, oltre che da visitare. Il direttore e lo staff che curano il Museo hanno saputo renderlo davvero un laboratorio in continua evoluzione, un luogo che accoglie visitatori da tutto il mondo, ma che contemporaneamente rimane attivo nel coinvolgimento del territorio.
Un Museo digitale: è possibile? Quali le avvertenze?
Un museo residente solamente online? Consultabile con dispositivi ovunque ci si trovi? Senza sede? Oppure un museo totalmente virtuale che simula uno spazio fisico da esplorare? Sono tutte vie tecnicamente percorribili, ma sicuramente non sono le direzioni a cui siamo rivolti nella ricerca che più ci interessa.
Immaginiamo, però, per ipotesi, un museo il cui tema fosse in grado di attrarre e raccogliere testimonianze ed esperienze da tutto il mondo, lavorando attraverso la rete e sfruttando le tecnologie che ormai portiamo quotidianamente con noi. Non sarebbe bello che avesse una sede fisica? Diventerebbe un luogo con un’aura formidabile, un luogo quasi magico.
Le ricerche neuroscientifiche si stanno rivolgendo decisamente in una direzione che tiene in grande conto – nei processi cognitivi – la percezione fisica dello spazio entro cui viviamo un’esperienza. Lo spazio significa tattilità reale e stimolo tattile-visivo di ingombri e superfici, colori, illuminazione, ma anche valori simbolici degli oggetti, delle forme e della luce… Non siamo affatto convinti che valga la pena che tutto questo sia riprodotto solo virtualmente.
Verso la smaterializzazione delle collezioni: è possibile un Museo “aumentato”? Quali le vostre suggestioni?
Tecnicamente è possibile, e certamente la tecnologia si sta sviluppando in direzioni che renderanno ancora più efficaci i dispositivi per la realtà aumentata.
Al momento uno degli aspetti che meno ci convince è che questa direzione tende a creare le condizioni per cui non è più richiesto immaginare. E in quest’epoca abbiamo estremo bisogno di immaginazione per affrontare le sfide che si stanno prospettando all’orizzonte.
Chiudiamo con un consiglio bibliografico. L’ultimo libro di Oliver Sacks, uscito postumo, Il fiume della conoscenza (Adelphi, Milano 2018) racconta molti episodi limite sulla memoria umana, alcuni dei quali illuminanti per chi è interessato a progettare ambienti che vogliono coinvolgere le persone e generare memoria.
a cura di Davide Boselli