Pensare alla cultura, pensare la cultura: pillole per precorrere gli scenari futuri.
È questo il pay off di Civita, l’organizzazione not for profit di imprese ed enti di ricerca che opera nel campo della promozione culturale. Studi, ricerche ed eventi sono gli strumenti di Civita per precorrere scenari futuri, potenziali spazi di sviluppo e collaborazione fra cultura e impresa e definire orientamenti e trasformazioni del settore dei beni culturali. I temi di interesse? Il rapporto fra pubblico e privato, le nuove tecnologie al servizio dei beni culturali, il turismo culturale.Abbiamo raggiunto il Direttore di Civita, Giovanna Castelli, per chiacchierare con lei su molte questioni,dal modello di gestione museale scaturito dalla collaborazione pubblico – privato, alla CSR, per il modello di museo del futuro, alla definizione del museo relazionale, al museo come “luogo del fare”.
Direttore, ci parla delprogettoWeACT³ – Agire Insieme. La Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio: genesi del progetto, output, risultati raggiunti e follow up. Cosa dovrebbe accadere affinché il progetto sia replicabile anche altrove?
Il progetto “WeACT³” nasce da un’idea dell’Associazione Civita che, fermamente convinta della possibilità di una proficua sinergia fra pubblico e privato nonché del ruolo-chiave dell’evoluzione tecnologica sulla produzione e la fruizione di Cultura, ha dato vita, con un gruppo di imprese Associate, ad un’iniziativa di partnership pubblico-privato volta alla valorizzazione delle Gallerie d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini: un museo con due sedi di assoluto valore storico artistico.
Per la prima volta, dunque, un gruppo di imprese ed Enti associati a Civita – Avvenia, Consorzio Glossa, DM Cultura, ENEA, Ericsson, Gruppo DAB, Logotel, Mastercard, Oracle, Vodafone e Wind Tre – è giunto alla firma di un contratto di sponsorizzazione tecnica con il museo sulla base di un progetto comune – coordinato da Civita su indicazioni strategiche suggerite dalla Direzione delle Gallerie – che ha visto la messa a sistema di ben 12 soluzioni tecnologiche e innovative in maniera integrata.
Gli interventi hanno riguardato, in via prioritaria, due aspetti: la gestione museale e la fruizione del pubblico. Al primo afferiscono interventi quali la relazione di un piano di risparmio energetico volto a garantire una maggior sicurezza per le opere esposte, l’installazione di una piattaforma software di supervisione per gestire e centralizzare sistemi e sottosistemi di sicurezza o, ancora, un sistema di catalogazione di entrambe le collezioni; in merito ai servizi per il pubblico, si va dal servizio di mobile ticketing, di prossima attivazione, per entrambi i musei (primo caso in Italia in cui sarà possibile l’acquisto del biglietto tramite credito telefonico)ad una guida digitale per le collezioni della Galleria Corsini fino ai servizi di affiancamento e consulenza per la gestione di iniziative e campagne di digital marketing del museo al fine di incrementarne visibilità ed afflusso di visite.
I risultati ottenuti, grazie anche all’integrazione vincente fra le competenze messe in campo, dimostrano l’efficacia del modello collaborativo pubblico-privato proposto; l’iniziativa, infatti, fra il 2017 ed il 2018 – dalla fase di progettazione a quella della realizzazione – ha visto lavorare in maniera congiunta, tanto da parte delle Gallerie che delle imprese, ben 100 professionisti, con circa 20 specializzazioni differenti (ricercatori, esperti di beni culturali e di comunicazione, ingegneri, web designer, sistemisti, analisti programmatori, etc.). Riguardo alla sua replicabilità, uno dei punti di forza del progetto risiede, senz’altro, nell’aver proposto un’idea nuova di gestione museale. A tal fine, giocano un ruolo fondamentale una serie di precondizioni che trovano in questa iniziativa una sintesi vincente; da parte dei nostri musei, è fondamentale prendere consapevolezza dell’importanza, ormai prioritaria, che le tecnologie hanno assunto sia nella conservazione del patrimonio artistico-culturale ma anche nella comunicazione e promozione di quest’ultimo; ed ancora, la necessità di individuare nuove strategie volte a semplificare i modelli di partnership pubblico-privato in ambito culturale, rendendone più snelle le procedure ed apportando chiarezza laddove necessaria.Non da meno, infine, la volontà da parte delle imprese di voler sperimentare le proprie soluzioni in ambiti differenti dal proprio operato ponendosi, al contempo, a fianco dei musei ed ascoltandone le esigenze.
Come immagina Civita il Museo del futuro? Quanto siamo lontani da realizzare questa visione?
Più che immaginare il museo del futuro, ci piace pensare a come il pubblico del futuro, ovvero le giovani generazioni, si immaginano il museo. Il nostro ultimo Rapporto, dal titolo “Millennials e cultura nell’era digitale. Consumi e progettualità culturale tra presente e futuro” e dedicato al rapporto fra giovani e Cultura, affronta, fra gli altri, anche questo tema. Interrogati su cosa si aspettano da un museo o da un luogo di cultura, gli “iperconnessi” millennials rispondono con idee chiare: si va dalla richiesta di un’offerta culturale calibrata sui propri interessi alla possibilità di predisporre spazi per la sperimentazione creativa; dall’uso delle tecnologie per creare nuove modalità di fruizione del patrimonio ed inediti percorsi di visita volti a privilegiare la dimensione esperenziale fino a vantaggi e facilitazioni relative all’accesso sia di tipo economico (gratuità selettive e forme di membership che favoriscano la fidelizzazione) che logistico (raggiungibilità con mezzi pubblici, orari di apertura ampliati etc.,). Non dobbiamo dimenticare che i giovani rappresentano una risorsa-chiave per il futuro del nostro Paese, sia sotto il profilo della fruizione culturale che della produzione creativa. Favorire il loro coinvolgimento attivo nel mondo della Cultura significa, pertanto, costruire una società più attiva e consapevole.
Qual è lo stato dell’arte se ci riferiamo al museo come editore di contenuti per ingaggiare pubblico e non pubblico? In particolare, come dovrebbe comportarsi il Museo e quale la sensazione di Civita rispetto al percorso da realizzare?
Il diffondersi dei social media si inserisce in una nuova visione del museo, dando vita a quello che è stato definito il “museo relazionale” o, nel contesto statunitense, the participatory museum, enfatizzandone l’aspetto dinamico e interattivo. Anche i nostri musei sembrano ormai averne preso atto e sono tante le realtà che hanno compreso l’importanza di attuare delle vere e proprie strategie volte a rafforzare le proprie modalità di comunicazione con il pubblico. In particolare, i musei d’arte contemporanea risultano in questo campo particolarmente “attivi” riuscendo ad attrarre non solo i giovani (cosiddetti “nativi digitali”) ma anche un pubblico più trasversale e meno assiduo.
Nel suo X Rapporto, #SOCIALMUSEUMS. Social media e cultura, tra post e tweet, Civita ha indagato questo tema presentando alcune proposte rivolte alle Istituzioni e agli operatori culturali che intendano orientare il proprio operato verso una comunicazione digitale multidirezionale e multicanale, in un’ottica di social media marketing. Tra le azioni prioritarie, vi è, senz’altro, la necessità per i nostri musei di mettere in atto mirati investimenti sulle professionalità addette alla comunicazione museale per comunicare con il proprio pubblico ed attrarne di nuovi. A queste ultime, infatti, è richiesta un’adeguata preparazione tanto sulle caratteristiche delle diverse piattaforme – in modo da effettuare scelte coerenti con gli obiettivi che l’organizzazione si pone – quanto sui linguaggi “semplici e informali” da adottare nell’uso di tali canali. Per i nostri musei, accogliere le potenzialità che le tecnologie digitali possono offrire in tal senso significa, in primis, superare le forti riserve culturali legate ad una visione in genere “conservatrice” e conservativa del proprio ruolo, vincendo le diffidenze di coloro che temono di sminuire le capacità conoscitive e formative della tradizionale museologia.È comunque vero che il pieno sfruttamento delle tecnologie legate alla comunicazione pone non al singolo museo, bensì all’intero sistema museale italiano, compiti difficili da affrontare, risolvibili solo attraverso la creazione di condizioni di contesto che rendano ammissibile tale sfida.
Il Museo come host di un FabLab: avrebbe senso e sarebbe possibile? In caso affermativo, quali le derive e le minacce? Al contempo, quali i vantaggi e le opportunità?
Sull’onda della rivoluzione digitale i musei stanno cambiando volto puntando a diventare, in particolare negli Stati Uniti, luoghi “del fare”, anziché solo “del vedere”, offrendo al proprio pubblico la possibilità di essere protagonisti della scena tramite spazi e laboratori didattici di forte impronta tecnologica. Per i nostri musei questo scenario mi sembra possa delinearsi, al momento, più per i musei di arte contemporanea, per quelli tematici o, ancora, per quelli più strettamente legati al territorio, come i musei d’impresa, forse più inclini, per natura, alla sperimentazione e alla creatività. Molti dei musei di impronta più “tradizionale” sono già dotati di laboratori di restauro molto qualificati i cui lavori vengono spesso presentati al pubblico, tramite i social, proprio in corso d’opera con l’intento di condividere e far conoscere questa dimensione di “bottega” con un pubblico più ampio. Non vedo, dunque, possibili minacce ad immaginare tali scenari; pensare a modi nuovi e creativi per coinvolgere i giovani e incoraggiarli a creare, costruire e inventare ritengo sia una delle strade che le nostre Istituzioni culturali potranno percorrere per rimanere al passo con i tempi e “progettare” il museo del futuro.
Dalla sponsorizzazione alla Corporate Social Responsability: come cambia, in concreto, la coscienza d’impresa in riferimento al sistema culturale italiano?
Civita, in particolare il suo Centro Studi, ha toccato con mano, attraverso ricerche e indagini, le trasformazioni avvenute nell’ambito della partnership pubblico privato che hanno “cambio di mentalità” tanto da parte del pubblico quanto del privato, passando da una logica di fundraising ad un approccio di co-progettazione con l’intento di condividere obiettivi e progetti in ambito culturale. Ad oggi le imprese chiedono di poter essere considerate un partner culturale a tutti gli effetti, a fianco delle Istituzioni, con l’intento di condividere obiettivi e progetti nonché di poter misurare gli impatti di tali investimenti all’interno del perimetro di attività e, all’esterno, stabilendo un solido legame con i territori. Nell’ultimo decennio le aziende hanno sviluppato elevate competenze in ambito di responsabilità sociale ed ambientale; un aspetto, questo, che la nostra Associazione ha indagato attraverso la pubblicazione Dalla CSR alla “Corporate Cultural Responsibility”: come valorizzare gli interventi delle imprese in cultura – frutto del lavoro di un apposito Comitato – volta a fornire indicazioni per l’inclusione della “responsabilità culturale” nella strategia di sostenibilità, rendendo “sistematico”, con obiettivi e risultati misurabili, l’impegno delle imprese in cultura, così come oggi avviene per le attività a tutela dell’ambiente o di carattere sociale. Del resto, proprio gli interventi effettuati dalle imprese partner del progetto “WeACT³” sono frutto di una sponsorizzazione tecnica; tali aziende hanno condiviso l’idea di mettere a disposizione il proprio contributo, in termini di know-how e di apporto tecnologico, al fine della valorizzazione di un luogo di cultura del nostro Paese e con l’obiettivo di ampliarne la conoscenza e la fruizione da parte di turisti e residenti. Un segno importante di una sempre maggiore consapevolezza da parte delle imprese del valore della Cultura come ritorno di immagine ed elemento-chiave della propria brand identity. I tempi per un’inversione di rotta nel modo di fare impresa sembrano ormai maturi; pensiamo, ad esempio, alle B Corp: imprese aventi come obiettivo quello di perseguire il profitto creando un impatto positivo su persone e ambiente, agendo come forza rigenerativa per la società. Accanto al profitto, dunque, le imprese iniziano a tener conto, nell’ambito delle proprie strategie, dell’importanza di ottimizzare il loro impatto positivo verso i loro dipendenti, le comunità nelle quali operano e l’ambiente. Una best practice in tal senso nel nostro Paese è, senz’altro, Aboca – leader nell’innovazione di prodotti terapeutici a base di complessi molecolari naturali – che, nel 2018, ha modificato il proprio statuto trasformandosi in società benefit. Un segno importante, dunque, di come quanto detto non solo sia possibile ma sia la condizione per il successo delle imprese del futuro.
Seminare cultura per raccoglierne un diffuso saper fare cultura, interpretando il momento storico e il rapido e progressivo mutamento in corso. Sembra facile. Per qualcuno lo è.
di Davide Boselli