I visitatori museali cercano intrattenimento più che educazione

Quanto realmente conosciamo del grado di soddisfazione dei visitatori in relazione alle esperienze culturali vissute in musei, teatri, aree archeologiche e festivals? Il primo passo per diventare una realtà “Visitor centered” è acquisire informazioni sui loro comportamenti, aspettative, necessità nelle fasi che precedono la visita (pre), durante il contatto “fisico” col luogo (durante) e successivamente all’asperienza (post). Una attenta, e scevra da pregiudizi, analisi dei risultati potrebbe ribaltare molte delle “buone” pratiche che oggi sembrano inveterate ed immutabili. Vi invito a continuare la lettura perchè potremmo comprendere che stiamo sbagliando larga parte delle nostre politiche culturali!


Questo articolo è un seguito ideale al pezzo, che ha generato un fervido dibattito, “Come riportare i millennials nei luoghi culturali” in cui proponevo una serie di correttivi alle pratiche di gestione dei nostri luoghi culturali per venire incontro soprattutto alle aspettative del cluster generazionale che per comodità definii dei Millennials, ovvero i nati tra il 1980 ed il 2000.

In assenza di dati significativi italiani, ho deciso di fare riferimento ai comportamenti dei “millenials” e “non millennials” americani che visitano luoghi culturali. Pur essendo i tassi di partecipazione culturale italiani, ed europei in generali,  superiori rispetto agli States mi interessa particolarmente comprendere quali sono i fattori che concorrono maggiormente nella creazione di un livello di soddisfazione complessivo elevato.

L’esperienza di intrattenimento è giudicata del 17% più importante di quella educativa dai millennials ed, al tempo stesso, rappresenta il parametro chiave per impatto sulla soddisfazione complessiva. Se questo dato potrebbe sorprendere ed indispettire molti direttori e curatori, a me personalmente sorprende maggiormente la rilevanza che l’aspetto di entertainment riveste anche per gli over 40. Possiamo quindi dire, almeno alla luce dei dati americani, che l’esperienza di intrattenimento rappresenta per tutte le fasce di età e per larga parte dei pubblici (ad esclusione degli specialisti) il principale punto focale per sentirsi a proprio agio con l’esperienza vissuta.

Alla luce di questo dato, si aprono portoni per un ripensamente complessivo dei nostri spazi ed allestimenti culturali. E’ bene sottolineare che ogni epoca presenta le proprie sfide, si pensi allepaure suscitate dal Museo della Scienza di Londra nel 1931. In quell’anno l’importante istituzione inglese aprì la prima area interamente dedicata ai bambini. In un numero dell’epoca, il quotidiano Sunday Times descrisse l’iniziativa “a playground at once amusing and illuminating[1],” mentre il giornale interno del museo nel suo numero di Aprile osservò “We could not help fearing that all this may be going too far and not quite in the right direction.” La prima resistenza proveniva dal museo stesso, quasi che ogni forma di intrattenimento possa in qualche modo minare la credibilità dell’istituzione stessa spostando l’asse dalla conservazione, tutela ed esposizione alla Disneyification del luogo (Balloffet, P., Courvoisier, F.H., Lagier, J., 2014.).

Concludendo su questa importante dicotomia, è importante sottolineare come tutto l’apparato di intrattenimento debba essere concepito per dare accessibilità, rendere more fun e morabile l’esperienza culturale intrinseca e quindi anche i valori educati che il museo si è dato. Non credo particolarmente ai progetti mirati a generare WOWO effect quanto piuttosto ad esperienza di meaningful entertainment.

Il secondo parametro per importanza, su entrambi i cluster, è la reputazione. Si intende la percezione che il pubblico ha della istituzione culturale e questa si forma largamente nella parte pre-visita (i giudizioni che ne danno gli altri, i voti su tripadvisor, gli articoli usciti, la qualità della presenza online etc etc). Come già ho avuto modo di sottolineare spesso, molte istituzioni sono estremamente deboli nelle politiche di audience development e di conseguenza mancano livelli  e strumenti minimi qualitativi per stimolare una percezione positiva. Per dare una idea, meno del 5% delle istituzioni culturali ha una propria app e quindi un posizionamento sui mobile stores, larga parte dei siti web non hanno le funzioni base del XXI secolo come essere mobile responsive, in lingue straniere, aggiornati periodicamente…

Il terzo valore per peso nel grado di soddisfazione è il valore della visita, da intendersi non come costo del biglietti di ingressi bensì come la percezione del rapporto tra quanto tempo/soldi si sono investiti nell’esperienza ed il ritorno che se ne è avuto. Soprattutto per gli over 40 questo aspetto è di particolare rilievo essendo il tempo, paradossalmente ancor prima dei soldi, il vero bene finito della nostra epoca.

Raggruppo insieme due aspetti che vengono largamente sottodimensionati nel panorama italiano. La formazione e disponibilità del personale museale e la pulizia dei luoghi. Su quest’ultimo aspetto basterebbe leggere le recensioni, soprattutto da parte del pubblico internazionale, su Tripadvisor per rendersi conto dell’importanza strategica dei bagni. La loro disponibilità, pulizia, accessibilità, dotazione è altamente tenuta in considerazione dai visitatori e quasi sempre resta una delle necessità inevase. Anche vetrine espositive con vetri non puliti, polvere sui reperti ed amenità similari concorrono a formare negativamente un giudizio negativo su un luogo.


Infine due parole sui “servizi accessori”, soprattutto l’area ristoro e shopping viene giudicata particolarmente rilevante dai millennials molto più che dagli over 40. Sulle aree bar/ristorante e sulle boutique/bookshop qualcosa si è mosso negli ultimi anni tanto da spingere numerosi luoghi a dotarsi di questi spazi ormai ritenuti fondamentali per avvicinare i pubblici, rendere completa la possibilità di visita e generare nuove economie.